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Segue: la diseredazione di un legittimario

Nel precedente articolo si è trattato dell’istituto della diseredazione, ovvero la disposizione testamentaria con la quale il testatore esclude un soggetto dalla propria successione, e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento (per chi fosse interessato a leggere l’articolo può cliccare il seguente link: https://notaiosanchini.it/anteprima-pagina/180?k=bc7e026d-03ed-49b6-9a17-7ef01833b7ead402ca1cec9363b8ccc671bab349f044).

Si è esposto che, secondo la tesi ad oggi prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza, detta clausola è ritenuta ammissibile.

Questione più complessa e più controversa riguarda l’ammissibilità della diseredazione dei soggetti più vicini al testatore, ovvero i legittimari.

Prima di procedere con l’analisi di detta questione è bene delineare chi sono questi soggetti e quali diritti riconosce loro la legge.

Ai sensi dell’art. 536 c.c., i legittimari sono “Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione”, ovvero il coniuge, i discendenti e, in assenza di questi ultimi, gli ascendenti.

Come si comprende dalla lettura dell’articolo citato, ai legittimari è riconosciuto il diritto alla legittima, ovvero una quota (c.d. di legittima, appunto) sul patrimonio del de cuius, diritto che non può essere in alcun modo sacrificato dal testatore.

Questo principio di intangibilità della legittima si desume dall’art. 549 c.c., secondo il quale “Il testatore non può imporre pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari”, salva l’applicazione delle norme in materia di divisione testamentaria.

Detto principio opera in due differenti maniere: da un lato, ai sensi dell’articolo da ultimo citato, sono inefficaci tutte le disposizioni con cui si pongano pesi e condizioni a carico dei legittimari, limitando gli effetti dell’attribuzione della legittima all’avente diritto; dall’altro, i legittimari sono tutelati mediante l’azioni di riduzione. Quest’ultima forma di tutela, disciplinata negli artt. 553 e s.s. del c.c., consiste in uno strumento mediante il quale si vanno a ridurre tutte le disposizioni che attribuiscono a soggetti diversi dai legittimarei beni del de cuius in misura eccedente alla quota disponibile, ovvero quella parte di patrimonio di cui il testatore può liberamente disporre.

Esaminati, seppur per sommi capi, le due forme di tutela dei legittimari, prima di procedere con l’analisi dell’ammissibilità della clausola di diseredazione è necessario analizzare altresì la posizione dei legittimari al momento dell’apertura della successione.

Dunque, secondo una tesi autorevolmente sostenuta, il legittimario è erede sin dal momento dell’apertura della successione, anche ove il testatore abbia esaurito con disposizioni testamentarie l’intero asse ereditario. Pertanto, detto soggetto sarebbe coerede e parteciperebbe alla divisione ereditaria, ferma la necessità di agire con l’azione di riduzione ove il valore dei beni attribuitogli fosse inferiore alla quota di legittima allo stesso spettante.

La teoria più moderna, al contrario, ritiene che il legittimario non sia erede al momento dell’apertura della successione, acquisendo tale qualifica solamente all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione.

Detta teoria è stata ulteriormente precisata, evidenziando che in favore del legittimario pretermesso al momento dell’apertura della successione non vi è alcuna attribuzione di beni del patrimonio del de cuius, non potendovi esserci due distinte ed incompatibili delazioni in ordine agli stessi beni ereditari.

 

Chiarito ciò, si può procedere con l’analisi in ordine all’ammissibilità della diseredazione del legittimario, con un’avvertenza per il lettore: la questione è ad oggi ancora molto controversa, pertanto le conclusioni a cui si giungerà sono da ritenersi il frutto del pensiero dello scrivente.

Ora, secondo una ricostruzione la diseredazione del legittimario non sarebbe ammissibile; anzi, detta disposizione sarebbe addirittura nulla, essendo un diretto ed insanabile peso sulla quota di legittima, ai sensi dell’art. 549 c.c..

Altri autori ammettono la diseredazione del legittimario nei limiti della quota disponibile; questa teoria, però, non tiene conto di un elemento fondamentale: si può parlare di diseredazione soltanto se un soggetto viene totalmente escluso dalla successione e non solamente in parte. Pertanto, escludere il legittimario sola dalla quota disponibile non può certamente definirsi una diseredazione dello stesso, essendo tale soggetto erede, seppur per la sola quota di legittima.

Altri autori non ammettono la diseredazione, riconoscendo unicamente al testatore la facoltà di pretermettere (ovvero di non considerare) il legittimario nelle proprie disposizioni testamentarie. In altri termini, secondo questi autori il testatore potrebbe disporre dell'intero suo patrimonio in favore di soggetti diversi dal legittimario, così non facendo pervenire a quest'utlimo alcun bene, ma non potrebbe direttamente escluderlo con una clausola ad hoc.

Questa tesi lascia francamente perplessi; l’effetto della pretermissione del legittimario mediante istituzione di altri soggetti è lo stesso della diseredazione, quindi non si comprende il motivo dell’ammissibilità di una clausola con cui, di fatto, si esclude il legittimario dalla successione e non di una clausola con cui tale effetto lo si produce in maniera espressa.

A parere di chi scrive per rispondere in ordine all’ammissibilità della diseredazione del legittimario bisogna partire dalla posizione di detto soggetto all’apertura della successione.

Ora, come si è esposto, secondo la tesi prevalente il legittimario non è erede al momento dell’apertura della successione, ma solamente all’esito del vittorioso esercizio dell’azione di riduzione.

Se questo è vero, diseredare un soggetto rientrante nella categoria dei legittimari non implica di per sé porre un peso sulla quota di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 549 c.c.; ciò perché tale soggetto non è un legittimario sin da subito, indi non gli viene riconosciuta una quota sul patrimonio del testatore al momento dell’apertura della successione. Pertanto, la clausola di diseredazione potrà considerarsi una disposizione lesiva dei diritti del legittimario solamente all’esito del vittorioso esperimento dell’esercizio dell’azione di riduzione, non certamente al momento della morte del testatore, perché solamente in questo momento il legittimario acquisterà detta qualifica.

Per tale ragione, si ritiene che la clausola di diseredazione del legittimario non debba considerarsi illecita, ma eventualmente lesiva dei diritti di questo soggetto, pertanto ricevibile in un testamento.