Ci serviamo dei cookie per diversi fini, tra l'altro per consentire funzioni del sito web e attività di marketing mirate. Per maggiori informazioni, riveda la nostra informativa sulla privacy e sui cookie. Può gestire le impostazioni relative ai cookie, cliccando su "Gestisci Cookie".
La diseredazione è la disposizione contenuta in un testamento con cui il testatore esclude dalla propria successione un determinato soggetto. Si sente spesso parlare nelle cronache, nei libri e anche nei film di questo istituto, ma è davvero ammissibile nel nostro ordinamento?
La risposta a questa domanda non è così scontata e si deve distinguere tra la diseredazione in generale e quella dei soggetti più vicini al testatore, ovvero i c.d. legittimari.
Partendo dalla diseredazione in senso generale, sebbene oggi prevalga la tesi sulla sua ammissibilità, è stata a lungo sostenuta la tesi contraria.
In particolare, secondo un primo orientamento intransigente, il testamento potrebbe contenere unicamente disposizioni aventi un carattere attributivo, come si evincerebbe dall’art. 587 c.c., secondo cui “Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le sue sostanze o di parte di esse”. Pertanto, essendo la diseredazione una disposizione negativa, non attribuendo a nessun soggetto direttamente le sostanze del de cuius, quest’ultima non sarebbe ammissibile. Ancora, secondo i sostenitori di questa teoria, le cause di esclusione dalla successione nel nostro ordinamento sarebbero tipiche (artt. 448 bis e 463 c.c.), indi non sarebbe consentito al testatore prevederne di ulteriori.
A fronte di una tesi così intransigente, ve ne è un’altra la quale ammette la diseredazione, osservando che il termine “disporre” contenuto nell’art. 587 c.c. non coincide con il termine “attribuire”; conseguentemente, anche la diseredazione, ancorché in maniera negativa, potrebbe avere un effetto distributivo del patrimonio del de cuius; in particolare, secondo i sostenitore di questa tesi, la diseredazione potrebbe essere qualificata alla stregua di una istituzione implicita di altri soggetti; in altre parole, il testatore escludendo un soggetto dalla propria successione, implicitamente istituirebbe come eredi gli altri soggetti successibili per legge e, così facendo, disporrebbe del proprio patrimonio.
La tesi attualmente prevalente, la quale ha trovato anche il sostegno della Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 25 maggio 2012, n. 8352, ammette la diseredazione senza necessità di far ricorso alla figura dell’istituzione implicita, facendo leva sul principio della libertà e sovranità del testatore nel disporre delle proprie sostanze.
In particolare, secondo questa più recente teoria, per diseredare non è necessario procedere all’attribuzione di tutti i beni del testatore ad altre persone diverse da quella che si vuole escludere; anzi, ritenere necessaria un’istituzione implicita significa contraddire la validità stessa della diseredazione. In altri termini, se si vuole ammettere la clausola di diseredazione lo si deve fare in quanto tale e senza correttivi, altrimenti se ne vanificherebbe lo scopo e la funzione. Richiedere ai fini della validità della clausola di diseredazione un’istituzione di erede, seppur implicita, significa non riconoscere alcun valore a detta clausola, derivando gli effetti dispositivi del testamento non dalla diseredazione, ma dall’istituzione stessa.
Pertanto, secondo la tesi in parola, la disposizione diseredativa è valida senza alcun correttivo, potendo il testatore disporre come meglio crede delle proprie sostanze, in applicazione del principio dell’autonomia testamentaria. La clausola di diseredazione, inoltre, non si sostanzierebbe in un semplice atto negativo, ma avrebbe un contenuto dispositivo delle sostanze del testatore, poiché con essa si andrebbe a restringere il numero di soggetti partecipanti alla successione legittima del testatore, così indirizzato concretamente la destinazione post mortem del patrimonio.
Questione più complessa è quella concernente la diseredazione dei legittimari, ovvero di quei soggetti legati al de cuius da particolari vincoli familiari (discendenti, coniuge e ascendenti).
Questo punto merita un’attenta e approfondita trattazione, la quale verrà effettuata in un prossimo articolo.